Daniele 6:6

Versetti 6-10

Vietare la preghiera per trenta giorni significa privare Dio di tutto il tributo che ha dall'uomo e l'uomo di tutto il conforto che ha in Dio. Il cuore di ogni uomo non lo spinge forse a invocare Dio quando si trova nel bisogno o nell'angoscia? Non potremmo vivere un giorno senza Dio; e possono gli uomini vivere trenta giorni senza preghiera? Eppure c'è da temere che coloro che, senza alcun decreto che glielo vieti, non presentano a Dio alcuna supplica seria e sincera per più di trenta giorni di seguito, siano molto più numerosi di coloro che lo servono continuamente, con cuore umile e riconoscente. Le leggi persecutorie vengono sempre emanate con falsi pretesti; ma non è da cristiani lamentarsi aspramente o indulgere in offese. È bene avere delle ore per la preghiera. Daniele pregava apertamente e dichiaratamente; e sebbene fosse un uomo di grandi affari, non pensava che questo lo avrebbe scusato dagli esercizi quotidiani di devozione. Quanto sono imperdonabili coloro che hanno poco da fare nel mondo e non fanno altrettanto per la loro anima! In tempi difficili dobbiamo fare attenzione, per evitare che, con la scusa della discrezione, ci rendiamo colpevoli di codardia nella causa di Dio. Chi butta via la propria anima, come fanno certamente coloro che vivono senza pregare, anche se per salvarsi la vita, alla fine si rivelerà uno stolto. Daniele non si limitò a pregare e non ringraziò, tagliando una parte del servizio per abbreviare il tempo del pericolo; ma lo fece per intero. In una parola, il dovere della preghiera si fonda sulla sufficienza di Dio come Creatore e Redentore onnipotente e sulle nostre necessità di creature peccatrici. A Cristo dobbiamo rivolgere lo sguardo. Il cristiano guardi e preghi in questa terra di prigionia.

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